Non sempre riunire insieme musicisti di talento in una sessione di incisione si rivela una garanzia per ottenere un risultato all’altezza delle aspettative. Non di rado l’eccellenza tecnico-strumentale spinge i musicisti a suonare in maniera autoreferenziale privando l’esecuzione della condizione necessaria a trovare in tempo reale il perfetto equilibrio di ascolto e risposta tra le parti coinvolte. Non è possibile ricondurre l’armonia di intenti e finalità, difficilmente raggiunta, ad una ragione definibile come se si potesse imparare a memoria una formula vincente da ripetere all’infinito. Al contrario tutto avviene per un’ineffabile congiunzione di fatti, condizioni personali e reazioni agli stimoli inviati dagli altri componenti del gruppo o dal pubblico. Per tale motivo quando ci si imbatte nell’ascolto di un disco nel quale l’elevato tasso qualitativo della musica espressa fa il paio con i nomi scritti nelle note di copertina ci si rende conto, con piacevole sorpresa, di essere di fronte ad una delle poche eccezioni che smentiscono la regola. L’album “Isis” è una di queste.
Per l’incisione dell’album il pianista Enrico Pieranunzi chiama tre importanti esponenti del jazz italiano, Furio Di Castri, Roberto Gatto e Massimo Urbani e, come ospite, il trombettista Art Farmer. Nessuno dei cinque strumentisti ad ogni modo si prende la scena, contribuendo con il loro personale linguaggio a determinare la coralità di un lavoro discografico dal forte accento be-bop, tra standard e composizioni originali del pianista. Non di meno, a fare la differenza per quanto riguarda il risultato finale contribuisce in maniera decisiva la conoscenza che i quattro musicisti italiani hanno l’uno dell’altro, in conseguenza delle varie esperienze condivise negli anni precedenti. Enrico Pieranunzi aveva conosciuto Massimo Urbani alla metà degli anni Settanta al Music Inn di Pepito Pignatelli a Roma; il giovane sassofonista da qualche anno si sta mettendo in luce nella ristretta scena jazz romana, di cui fa parte lo stesso Roberto Gatto, come strumentista al di fuori dell’ordinario per tecnica e capacità di esprimere, nonostante la giovane età, un suono maturo e ben definito, tanto da entrare a far parte della formazione con cui Enrico Rava sta per partire alla volta di New York per una serie di concerti con Calvin Hill al basso e Michael Carvin alla batteria. A Roma, intanto, nei vari jazz club, tra cui il Folkstudio in Via Garibaldi, Massimo Urbani insieme al pianista romano e altri musicisti, come Enzo Pietropaoli, Maurizio Giammarco e Tommaso Vittorini, danno vita, nello spirito culturale di vitale partecipazione collettiva che anima la città, ad “incendiarie” jam session. L’anno prima della registrazione di “Isis”, nel 1979, Pieranunzi e Urbani si erano incontrati al Festival Jazz Jamboree organizzato a Varsavia, dove il pianista si trovava con i Saxes Machine di Bruno Biriaco e il sassofonista col suo quartetto. In quell’occasione hanno modo di “jammare” di nuovo insieme, accompagnati dai musicisti locali. Gioca un ruolo essenziale nell’intesa umana e musicale dei due musicisti, quel capirsi reciprocamente senza tanti giri di parole, la componente “popolare” racchiusa nella comune “romanità”, l’appartenenza viscerale e conflittuale al contempo ad una città difficile ma schiettamente accogliente. Alla fine degli anni Settanta anche il contrabbassista Furio Di Castri si stabilisce a Roma dove viene a contatto con il gruppo ormai consolidato di jazzisti del posto. Fra questi, Massimo Urbani è quello con cui instaura da subito un’intensa collaborazione artistica: col quartetto a nome del sassofonista incide nel 1980 l’album “Dedication to A. A & J. C. – Max Mood” prodotto da Sergio Veschi e Alberto Alberti, quest’ultimo promotore discografico della prima ora di Massimo Urbani, e qualche anno dopo, nel 1986, partecipa insieme a Roberto Gatto e il pianista Luca Flores all’album “Easy to Love”, registrato in solo quattro ore al Sonic Studio di Roma. Non di meno importanza, in considerazione della coesione del quintetto messo insieme dal pianista, risulta essere la frequentazione pregressa di questo con Art Farmer: i due sono legati da un rapporto di amicizia e stima, infatti il trombettista erano stato in precedenza tra i numerosi jazzistici stranieri arrivati a Roma che Pieranunzi aveva avuto la possibilità di accompagnare in concerto al Music Inn o al Teatro di Tenda di Roma. Con questi favorevoli auspici le sedute di incisione di “Isis” hanno luogo presso lo Studio Emmequattro di Roma nel febbraio del 1980. Nell’album trovano spazio le rapsodiche linee melodiche nello stile puramente hard-bop, intessute da Pieranunzi e Farmer sulla solida e variegata ritmica del duo Di Castri-Gatto, come si evidenzia nell’incipit del brano “Ah-Leu-Cha” di Charlie Parker, intervallate da momenti di pura liricità in brani come “Little Moon“ a firma di del pianista, di chiara derivazione “classica”. Questo non sorprende, Pieranunzi ha alle spalle gli studi in Conservatorio conclusi nel 1972 col diploma in pianoforte ed esibizioni pubbliche di stampo classico, mentre Farmer, giunto a Vienna a metà degli anni Sessanta, si era cimentato nell’esecuzione di uno dei concerti brandeburghesi di Bach per tromba e le partiture per orchestra e tromba del compositore austriaco Franz Joseph Haydn.
La brillantezza dell’improvvisazione viene ulteriormente arricchita dall’entrata di Massimo Urbani in tre brani del disco: “Isis” e “Soul Dance” di Pieranunzi e “Blue ‘N’ Boogie” di Dizzy Gillespie. Il sassofonista nel brano del bopper afro-americano interpreta la narrativa del blues in maniera eccelsa, cogliendone la drammatica gioia passeggera, un ossimoro che rappresenta la stessa ragione di essere di una musica senza filtri emotivi o false illusioni. Qualunque musicista, a prescindere dal luogo in cui vive, deve avere dentro questa ambivalente condizione umana per suonare il blues in maniera profondamente autentica senza fare ricorso a manierismi di facciata. Urbani dimostra in questa occasione, come in tante altre nella sua carriera, di avere questo senso istintivo del sentire musicale fuori da qualsiasi esercizio mentale; nel far questo non si tramuta in un ennesimo emulo di Charlie Parker, sarebbe riduttivo pensarlo, ma si pone come un compagno al fianco del Maestro, accomunati da uno stesso percorso di vita, denso nella sua brevità. L’intenzione rivolta all’immediatezza del gesto musicale del giovane sassofonista romano ben si coniuga con la pagata riflessività delle morbide ma incisive frasi pronunciate da Farmer al flicorno. Pieranunzi prima di chiamarli aveva intuito la possibilità di amalgamare i due differenti approcci esecutivi, come spiega nel libro di Carola De Scipio “Massimo Urbani – L’avanguardia è nei sentimenti” (Arcana Jazz) – “Poiché il solista principale era Art Farmer, che suonava il flicorno, pensai di chiamare Massimo col suo contralto. Mi piaceva l’idea di questo impasto di voci strumentali e anche l’idea di avvicinare a un solista “classico” come Farmer un solista dirompente e vulcanico come Massimo”. Il pianista, nonostante lo sforzo profuso per ottenere i migliori risultati dalle sedute di incisione, non trova da subito un’etichetta disposta a pubblicare il disco. Finché dopo un primo diniego alla richiesta inviatagli, Giovanni Bonandrini della Soul Note non si convincerà a produrre il lavoro discografico insieme allo stesso Pieranunzi, dando così inizio ad un lungo e fruttuoso sodalizio. “Isis” rappresenta uno spaccato della gioventù jazzistica dei primi anni Ottanta, protesa verso il raggiungimento di un elevato standard qualitativo messo a servizio della conquista di una propria voce strumentale ed interpretativa, anche là dove la citazione allude ad un passato troppo ingombrante per essere imitato.
Paolo Marra