Tra il pubblico accalcato nell’umida cave di Largo Dei Fiorentini, il Music Inn, a metà degli anni Settanta è spesso presente il produttore siciliano, di Porto Empedocle, Aldo Sinesio. Appassionato di jazz, Sinesio ascolta i musicisti esibirsi sul palco per poi avvicinarli a fine concerto armato di una pronta proposta d’incisione per l’etichetta Horo, di cui è proprietario. In quel periodo licenzia una serie discografica dal titolo esplicativo “Jazz a Confronto”: ogni titolo presenta l’incontro/confronto tra jazzisti stranieri, che sovente in quegli anni si fermano con piacere a Roma, accompagnati da ritmiche locali, ma anche la collaborazione tra blasonati musicisti della scena jazz italiana provenienti da correnti musicali eterogenee.
In una delle notti passate al jazz club di Pepito Pignatelli, il produttore siciliano assiste alla performance di Sal Nistico e non si fa di certo sfuggire l’occasione di ingaggiarlo per una di quelle memorabili incisioni. Nistico è uno dei più prestigiosi tenorsassofonisti del panorama jazzistico americano con esperienze pregresse nell’orchestra di Woody Herman e Count Basie; il suo aspetto tradisce le origini calabresi, come d’altronde molti dei suoi concittadini nati a Syracuse nello Stato di New York, pieno di figli di immigrati siciliani e calabresi giunti nel Nuovo Continente: capelli ricci, occhi blue scuro, collo taurino ed un’energia fisica dirompente. Arrivato in Europa Sal Nistico si stabilisce a Stoccarda, in Germania, per spostarsi per alcuni periodi in Italia dove viene spesso ospitato presso le abitazioni di giovani jazzisti romani, Enrico Pieranunzi e la famiglia di Massimo Urbani, per citarne due.
Poco prima dell’arrivo del sassofonista americano, erano giunti nella Capitale, insieme alla regina della Samba Elza Soares e il compagno, il giocatore brasiliano Garrincha, il chitarrista Irio De Paula e il batterista Afonso Vieira. Sempre attento alla mescolanze di generi musicali, Aldo Sinesio ha l’intuizione di mettere insieme il sassofono be-bop di Sal Nistico con la musica brasiliana di Irio De Paula, divenuto ormai uno dei musicisti di punta dell’etichetta Horo. Pubblicato col numero di serie n.16, il disco viene inciso presso gli Studi Titania di Roma con la sezione ritmica completata da Enrico Pieranunzi al pianoforte e Alessio Urso al contrabbasso. Un mese più tardi arriva in Italia da Parigi, dove vive ormai da diverso tempo, un altro prestigioso personaggio della storia del jazz, Kenny Clarke, iniziatore della batteria moderna durante l’epoca del be-bop.
Il trait d’union con Aldo Sinesio si rivela ancora una volta il Music Inn nel quale il batterista statunitense si esibisce in concerto con Oscar Valdambrini e Dino Piana ai fiati, Enrico Pieranunzi e Roberto Della Grotta al contrabbasso. Nell’incisione n. 20 della serie a comporre la sezione dei fiati vengono chiamati il trombettista Cicci Santucci e il sassofonista Enzo Scoppa. Il primo era membro stabile dell’Orchestra di Musica Leggera e di Ritmi Moderni della Rai, il secondo rappresentava l’archetipo del jazzista di alto livello tecnico ma non professionista; il sassofonista era, infatti, titolare di un’oreficeria a Roma, in Via Merulana. Prima della fine della seduta d’incisione, Kenny Clarke lascia anticipatamente lo studio per non perdere il volo da Roma non partecipando al brano “Waiting“, inserito per riempire il minutaggio della seconda facciata dell’album.
A questo punto facciamo un passo indietro al gennaio del 1973, quando il trombonista Marcello Rosa, presenza di riferimento della scena jazzistica romana, incide il disco n. 2 della serie. Ad accompagnarlo ci sono, tra gli altri, il contrabbassista Bruno Tommaso ed Enrico Pieranunzi. Quest’ultimo aveva trovato nel trombonista una figura determinante per l’avvicinamento al jazz quando ancora diciottenne, nel 1968, Rosa l’aveva fatto entrare nel suo quartetto dopo averlo notato durante una performance in piano solo al “Nocciolo”, piccolo club aperto al Vicolo Del Cedro a Trastevere. Dal canto suo Bruno Tommaso, giovane musicista con una solida preparazione musicale conseguita al Conservatorio di Santa Cecilia di Roma, in quegli anni è tra gli strumentisti più richiesti dai leader delle formazioni del circuito jazzistico della Capitale. La ragione principale di questa precoce quanto assidua attività in studio, oltre alle sue già spiccate doti tecniche ed espressive, è da ritrovare nella carenza di contrabbassisti e batteristi disponibili in quel periodo sulla “piazza” di Roma e in generale in Italia; i nomi più richiesti, oltre a Bruno Tommaso, sono quelli del cugino Giovanni, Gianni Foccia, Massimo Rocci (diventato in seguito tecnico del suono), Gegè Munari. Inoltre, per molti di loro l’attività jazzistica rappresenta un secondo mestiere, basato nella maggior parte dei casi su conoscenze teoriche e pratiche da autodidatti; le scuole di musica, con corsi dedicati al jazz, sono ancora lontane da venire. Le situazioni contingenti ancora non permettono ai musicisti di poter vivere di solo jazz, come d’altronde non era stato possibile per quelli che li avevano preceduti, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, per i quali la rimunerazione economica proveniva dal suonare in complessi o orchestre operanti nei locali notturni, il cosiddetto “night“, frequentati dalla borghesia del “boom” economico in città come Roma e Milano.
Alle composizioni del disco contribuisce anche il giovane Pieranunzi, allora ventitreenne, col brano “Rosa Minore” (la sua prima composizione di jazz in assoluto) dedicata a Marcello Rosa. Qualche mese dopo, Aldo Sinesio ingaggia il trombonista siciliano Frank Rosolino, membro, a metà degli anni Cinquanta, dell’Orchestra di Stan Kenton insieme al trombettista Conte Candoli. Ad accompagnare il trombonista durante la registrazione del n. 4 della serie, avvenuta in una notte di maggio del 1973 dopo un suo concerto, ci sono Franco D’Andrea, Enrico Pieranunzi, Bruno Tommaso, Bruno Biriaco e Gianni Basso.
L’album riunisce le diverse anime del jazz italiano in piena fase di transizione da un certo modo squisitamente provinciale di approccio musicale dei jazzmen allo slancio verso la definizione di uno status riconosciuto a livello internazionale, gradualmente conquistato nel corso della metà degli anni Settanta dalla leva di nuovi musicisti saliti alla ribalta delle cronache jazzistiche di Roma; da una parte troviamo Marcello Rosa che, saputo della registrazione, si offre di parteciparvi con un brano dal toni spagnoleggianti “Toledo“, eseguito dal vivo nelle precedenti occasioni concertistiche, dall’altra troviamo Enrico Pieranunzi che, nel pomeriggio di quello stesso giorno della registrazione del disco, esegue un concerto di musica classica, preparatorio al diploma, su partiture di Fryderyk Chopin al Castel Sant’Angelo di Roma. In dubbio se seguire il percorso classico o jazzistico, il pianista opterà da lì a poco per la seconda scelta, pur coltivando nel corso della sua carriera un appassionante e qualificante interesse per entrambi i rami musicali, facendoli a volte sapientemente coincidere. A seguito della fase propedeutica come side man nei dischi menzionati, Enrico Pieranunzi incide a suo nome nel 1975 il n. 24 della serie con Bruno Tommaso e Ole Jorgensen, batterista danese arrivato in Italia grazie al cantante Bruno Martino, allora molto famoso in Danimarca, per un ingaggio in Versilia, dove conosce una ragazza italiana sposandola dopo poco. Con questo lavoro discografico, il pianista romano inizia a misurarsi maggiormente con la composizione, vocazione che nel tempo si rivelerà un tratto identitario del suo lavoro artistico, non scindibile da quello puramente esecutivo ed improvvisativo.
Ma aspetto più importante, il disco inciso per la serie “Jazz a Confronto” impone Enrico Pieranunzi come rivelazione della nuova scena jazz italiana. Un risultato, come avvenuto nel caso di altri giovani musicisti, reso possibile anche grazie all’originale lavoro di Aldo Sinesio, produttore dalla lungimirante visione discografica.
Paolo Marra