Premio Giorgia Mileto, ecco i vincitori
Nuovo jingle per Negroni
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Iscrizioni Tecnico del suono e Musica elettronica
Premio Giorgia Mileto, ecco i vincitori
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Iscrizioni Tecnico del suono e Musica elettronica
L’organizzazione è stata impeccabile: il trasporto in/dalla città, l’accoglienza in ostello, gli spazi e la strumentazione a disposizione dentro e fuori il conservatorio.
Passare la prima sera con ragazzi da tutti gli angoli del mondo e confrontarsi su passioni, differenze culturali e metodi di lavoro, in un accogliente barbecue di benvenuto, è stato solo l’inizio di quella che sarebbe stata una delle esperienze più belle della mia vita.
Ho imparato l’importanza di fare squadra, lavorare con scadenze brevi, scegliere quando fare da traino e quando lasciarsi guidare da qualcun altro.
Un’esperienza fatta per chi ama respirare musica tutto il giorno, pedalare di notte in una cittadina magica e sconosciuta, ma soprattutto mettersi alla prova con il mainstream pop di oggi.
Penso di essere stata molto fortunata, non è semplice ritrovarsi a lavorare e mettere in gioco tutta te stessa assieme a persone che non hai mai visto in vita tua, e sono riuscita a farlo perché ho avuto dei compagni di viaggio da far invidia. Sin da subito, tutto il Team dell’organizzazione si è messo a disposizione e ci sono stati quanto più vicini possibile, in primis Natasha, responsabile dell’organizzazione. Ci hanno fatto sentire a casa, mettendoci a disposizione l’intera struttura, le aule, gli strumenti, un mezzo di trasporto e gli stessi allievi, che sono state le nostre guide in parecchie occasioni. Come ho già detto, sono stata tanto fortunata, anche per quanto riguarda le persone con cui ho lavorato: pur essendo un po’ fuori dal mio mondo (premetto che appartengo ad un ambito più jazzistico che puramente pop), ho fatto del mio meglio per collaborare con i miei compagni (cercando di dare il mio contributo nella scrittura più che nella produzione), che mi hanno guidata pian piano, aiutandomi a capire le scelte che si prendevano. Inoltre, siamo stati in grado di centrare uno dei punti fondamentali del Camp, ovvero imparare a collaborare: ascoltarsi, mettere in gioco tutta la propria conoscenza e soprattutto essere in grado di prendere le proprie decisioni insieme, al fine di poter riuscire al meglio nel proprio lavoro. Noi siamo stati in grado di farlo, e, difficile a credersi, 3 giorni sono stati abbastanza per mettere a nudo i caratteri di ognuno. Ho scoperto delle persone fantastiche, dei musicisti straordinari, con i quali ho riso e pianto fino a scoppiare. Shivan, Lisa e Carolina sono musicisti con i quale augurerei a tutti di lavorare, in grado di spronarti a dare il meglio di te, senza farti rinunciare al gusto di un sorriso. Ti ritrovi, poi, ad
interagire con persone che provengono da ogni angolo del pianeta, e ti ritrovi a ridere con loro, a condividere progetti, storie, e ti ritrovi a scoprire che, alla fine della fiera, non siamo poi così diversi. Magari gli ambienti cambiano, i Paesi di provenienza, ma siamo tutti accomunati dallo stesso amore per la propria arte, e questo unisce più di quanto una lingua faccia. La cosa più bella, poi, l’ultimo giorno alla presentazione dei progetti al teatro, è stato rendersi conto che, nonostante fossimo stremati dal duro lavoro e dall’ansia di far ascoltare i nostri progetti, quel filo di competizione che vi era all’inizio è andata completamente a scemare: ho visto persone muovere la testa a tempo, lanciare urla d’approvazione per le canzoni degli altri e applaudire, ma applaudire sul serio, gli altri partecipanti. Mi è venuto spontaneo dire: “Allora davvero la musica annulla qualunque barriera”. Alla fine, tutto ripaga. Il nostro lavoro è piaciuto ed è stato selezionato per essere inviato ad alcune delle Label impegnate nel progetto. Mica male per 4 sconosciuti, eh? Aldilà di ciò, siamo stati un team sul serio, a livello professionale e umano. Cosa ho imparato? A collaborare, ad ascoltare, ad analizzare le situazioni, ad usare un diavolo di software senza imprecare ogni 2×3…Ma soprattutto, a lasciarmi alle spalle qualunque pregiudizio, anche il minimo, e ad aprirmi a qualunque esperienza. Se non lo fanno i musicisti, allora chi deve farlo? Raccomanderei questa esperienza? Sì. Nel bene e nel male, sì. Mille volte sì. Apritevi alle occasioni che vi offre la vita, anche a quelle che vi sembrano più strane, chissà che non vi possano sorprendere. E lo dico io che pensavo di essere il pesce fuor d’acqua della situazione.
L’organizzazione è stata impeccabile: il trasporto in/dalla città, l’accoglienza in ostello, gli spazi e la strumentazione a disposizione dentro e fuori il conservatorio.
Passare la prima sera con ragazzi da tutti gli angoli del mondo e confrontarsi su passioni, differenze culturali e metodi di lavoro, in un accogliente barbecue di benvenuto, è stato solo l’inizio di quella che sarebbe stata una delle esperienze più belle della mia vita.
Ho imparato l’importanza di fare squadra, lavorare con scadenze brevi, scegliere quando fare da traino e quando lasciarsi guidare da qualcun altro.
Un’esperienza fatta per chi ama respirare musica tutto il giorno, pedalare di notte in una cittadina magica e sconosciuta, ma soprattutto mettersi alla prova con il mainstream pop di oggi.
Penso di essere stata molto fortunata, non è semplice ritrovarsi a lavorare e mettere in gioco tutta te stessa assieme a persone che non hai mai visto in vita tua, e sono riuscita a farlo perché ho avuto dei compagni di viaggio da far invidia. Sin da subito, tutto il Team dell’organizzazione si è messo a disposizione e ci sono stati quanto più vicini possibile, in primis Natasha, responsabile dell’organizzazione. Ci hanno fatto sentire a casa, mettendoci a disposizione l’intera struttura, le aule, gli strumenti, un mezzo di trasporto e gli stessi allievi, che sono state le nostre guide in parecchie occasioni. Come ho già detto, sono stata tanto fortunata, anche per quanto riguarda le persone con cui ho lavorato: pur essendo un po’ fuori dal mio mondo (premetto che appartengo ad un ambito più jazzistico che puramente pop), ho fatto del mio meglio per collaborare con i miei compagni (cercando di dare il mio contributo nella scrittura più che nella produzione), che mi hanno guidata pian piano, aiutandomi a capire le scelte che si prendevano. Inoltre, siamo stati in grado di centrare uno dei punti fondamentali del Camp, ovvero imparare a collaborare: ascoltarsi, mettere in gioco tutta la propria conoscenza e soprattutto essere in grado di prendere le proprie decisioni insieme, al fine di poter riuscire al meglio nel proprio lavoro. Noi siamo stati in grado di farlo, e, difficile a credersi, 3 giorni sono stati abbastanza per mettere a nudo i caratteri di ognuno. Ho scoperto delle persone fantastiche, dei musicisti straordinari, con i quali ho riso e pianto fino a scoppiare. Shivan, Lisa e Carolina sono musicisti con i quale augurerei a tutti di lavorare, in grado di spronarti a dare il meglio di te, senza farti rinunciare al gusto di un sorriso. Ti ritrovi, poi, ad
interagire con persone che provengono da ogni angolo del pianeta, e ti ritrovi a ridere con loro, a condividere progetti, storie, e ti ritrovi a scoprire che, alla fine della fiera, non siamo poi così diversi. Magari gli ambienti cambiano, i Paesi di provenienza, ma siamo tutti accomunati dallo stesso amore per la propria arte, e questo unisce più di quanto una lingua faccia. La cosa più bella, poi, l’ultimo giorno alla presentazione dei progetti al teatro, è stato rendersi conto che, nonostante fossimo stremati dal duro lavoro e dall’ansia di far ascoltare i nostri progetti, quel filo di competizione che vi era all’inizio è andata completamente a scemare: ho visto persone muovere la testa a tempo, lanciare urla d’approvazione per le canzoni degli altri e applaudire, ma applaudire sul serio, gli altri partecipanti. Mi è venuto spontaneo dire: “Allora davvero la musica annulla qualunque barriera”. Alla fine, tutto ripaga. Il nostro lavoro è piaciuto ed è stato selezionato per essere inviato ad alcune delle Label impegnate nel progetto. Mica male per 4 sconosciuti, eh? Aldilà di ciò, siamo stati un team sul serio, a livello professionale e umano. Cosa ho imparato? A collaborare, ad ascoltare, ad analizzare le situazioni, ad usare un diavolo di software senza imprecare ogni 2×3…Ma soprattutto, a lasciarmi alle spalle qualunque pregiudizio, anche il minimo, e ad aprirmi a qualunque esperienza. Se non lo fanno i musicisti, allora chi deve farlo? Raccomanderei questa esperienza? Sì. Nel bene e nel male, sì. Mille volte sì. Apritevi alle occasioni che vi offre la vita, anche a quelle che vi sembrano più strane, chissà che non vi possano sorprendere. E lo dico io che pensavo di essere il pesce fuor d’acqua della situazione.
L’organizzazione è stata impeccabile: il trasporto in/dalla città, l’accoglienza in ostello, gli spazi e la strumentazione a disposizione dentro e fuori il conservatorio.
Passare la prima sera con ragazzi da tutti gli angoli del mondo e confrontarsi su passioni, differenze culturali e metodi di lavoro, in un accogliente barbecue di benvenuto, è stato solo l’inizio di quella che sarebbe stata una delle esperienze più belle della mia vita.
Ho imparato l’importanza di fare squadra, lavorare con scadenze brevi, scegliere quando fare da traino e quando lasciarsi guidare da qualcun altro.
Un’esperienza fatta per chi ama respirare musica tutto il giorno, pedalare di notte in una cittadina magica e sconosciuta, ma soprattutto mettersi alla prova con il mainstream pop di oggi.
Penso di essere stata molto fortunata, non è semplice ritrovarsi a lavorare e mettere in gioco tutta te stessa assieme a persone che non hai mai visto in vita tua, e sono riuscita a farlo perché ho avuto dei compagni di viaggio da far invidia. Sin da subito, tutto il Team dell’organizzazione si è messo a disposizione e ci sono stati quanto più vicini possibile, in primis Natasha, responsabile dell’organizzazione. Ci hanno fatto sentire a casa, mettendoci a disposizione l’intera struttura, le aule, gli strumenti, un mezzo di trasporto e gli stessi allievi, che sono state le nostre guide in parecchie occasioni. Come ho già detto, sono stata tanto fortunata, anche per quanto riguarda le persone con cui ho lavorato: pur essendo un po’ fuori dal mio mondo (premetto che appartengo ad un ambito più jazzistico che puramente pop), ho fatto del mio meglio per collaborare con i miei compagni (cercando di dare il mio contributo nella scrittura più che nella produzione), che mi hanno guidata pian piano, aiutandomi a capire le scelte che si prendevano. Inoltre, siamo stati in grado di centrare uno dei punti fondamentali del Camp, ovvero imparare a collaborare: ascoltarsi, mettere in gioco tutta la propria conoscenza e soprattutto essere in grado di prendere le proprie decisioni insieme, al fine di poter riuscire al meglio nel proprio lavoro. Noi siamo stati in grado di farlo, e, difficile a credersi, 3 giorni sono stati abbastanza per mettere a nudo i caratteri di ognuno. Ho scoperto delle persone fantastiche, dei musicisti straordinari, con i quali ho riso e pianto fino a scoppiare. Shivan, Lisa e Carolina sono musicisti con i quale augurerei a tutti di lavorare, in grado di spronarti a dare il meglio di te, senza farti rinunciare al gusto di un sorriso. Ti ritrovi, poi, ad
interagire con persone che provengono da ogni angolo del pianeta, e ti ritrovi a ridere con loro, a condividere progetti, storie, e ti ritrovi a scoprire che, alla fine della fiera, non siamo poi così diversi. Magari gli ambienti cambiano, i Paesi di provenienza, ma siamo tutti accomunati dallo stesso amore per la propria arte, e questo unisce più di quanto una lingua faccia. La cosa più bella, poi, l’ultimo giorno alla presentazione dei progetti al teatro, è stato rendersi conto che, nonostante fossimo stremati dal duro lavoro e dall’ansia di far ascoltare i nostri progetti, quel filo di competizione che vi era all’inizio è andata completamente a scemare: ho visto persone muovere la testa a tempo, lanciare urla d’approvazione per le canzoni degli altri e applaudire, ma applaudire sul serio, gli altri partecipanti. Mi è venuto spontaneo dire: “Allora davvero la musica annulla qualunque barriera”. Alla fine, tutto ripaga. Il nostro lavoro è piaciuto ed è stato selezionato per essere inviato ad alcune delle Label impegnate nel progetto. Mica male per 4 sconosciuti, eh? Aldilà di ciò, siamo stati un team sul serio, a livello professionale e umano. Cosa ho imparato? A collaborare, ad ascoltare, ad analizzare le situazioni, ad usare un diavolo di software senza imprecare ogni 2×3…Ma soprattutto, a lasciarmi alle spalle qualunque pregiudizio, anche il minimo, e ad aprirmi a qualunque esperienza. Se non lo fanno i musicisti, allora chi deve farlo? Raccomanderei questa esperienza? Sì. Nel bene e nel male, sì. Mille volte sì. Apritevi alle occasioni che vi offre la vita, anche a quelle che vi sembrano più strane, chissà che non vi possano sorprendere. E lo dico io che pensavo di essere il pesce fuor d’acqua della situazione.
L’organizzazione è stata impeccabile: il trasporto in/dalla città, l’accoglienza in ostello, gli spazi e la strumentazione a disposizione dentro e fuori il conservatorio.
Passare la prima sera con ragazzi da tutti gli angoli del mondo e confrontarsi su passioni, differenze culturali e metodi di lavoro, in un accogliente barbecue di benvenuto, è stato solo l’inizio di quella che sarebbe stata una delle esperienze più belle della mia vita.
Ho imparato l’importanza di fare squadra, lavorare con scadenze brevi, scegliere quando fare da traino e quando lasciarsi guidare da qualcun altro.
Un’esperienza fatta per chi ama respirare musica tutto il giorno, pedalare di notte in una cittadina magica e sconosciuta, ma soprattutto mettersi alla prova con il mainstream pop di oggi.
Penso di essere stata molto fortunata, non è semplice ritrovarsi a lavorare e mettere in gioco tutta te stessa assieme a persone che non hai mai visto in vita tua, e sono riuscita a farlo perché ho avuto dei compagni di viaggio da far invidia. Sin da subito, tutto il Team dell’organizzazione si è messo a disposizione e ci sono stati quanto più vicini possibile, in primis Natasha, responsabile dell’organizzazione. Ci hanno fatto sentire a casa, mettendoci a disposizione l’intera struttura, le aule, gli strumenti, un mezzo di trasporto e gli stessi allievi, che sono state le nostre guide in parecchie occasioni. Come ho già detto, sono stata tanto fortunata, anche per quanto riguarda le persone con cui ho lavorato: pur essendo un po’ fuori dal mio mondo (premetto che appartengo ad un ambito più jazzistico che puramente pop), ho fatto del mio meglio per collaborare con i miei compagni (cercando di dare il mio contributo nella scrittura più che nella produzione), che mi hanno guidata pian piano, aiutandomi a capire le scelte che si prendevano. Inoltre, siamo stati in grado di centrare uno dei punti fondamentali del Camp, ovvero imparare a collaborare: ascoltarsi, mettere in gioco tutta la propria conoscenza e soprattutto essere in grado di prendere le proprie decisioni insieme, al fine di poter riuscire al meglio nel proprio lavoro. Noi siamo stati in grado di farlo, e, difficile a credersi, 3 giorni sono stati abbastanza per mettere a nudo i caratteri di ognuno. Ho scoperto delle persone fantastiche, dei musicisti straordinari, con i quali ho riso e pianto fino a scoppiare. Shivan, Lisa e Carolina sono musicisti con i quale augurerei a tutti di lavorare, in grado di spronarti a dare il meglio di te, senza farti rinunciare al gusto di un sorriso. Ti ritrovi, poi, ad
interagire con persone che provengono da ogni angolo del pianeta, e ti ritrovi a ridere con loro, a condividere progetti, storie, e ti ritrovi a scoprire che, alla fine della fiera, non siamo poi così diversi. Magari gli ambienti cambiano, i Paesi di provenienza, ma siamo tutti accomunati dallo stesso amore per la propria arte, e questo unisce più di quanto una lingua faccia. La cosa più bella, poi, l’ultimo giorno alla presentazione dei progetti al teatro, è stato rendersi conto che, nonostante fossimo stremati dal duro lavoro e dall’ansia di far ascoltare i nostri progetti, quel filo di competizione che vi era all’inizio è andata completamente a scemare: ho visto persone muovere la testa a tempo, lanciare urla d’approvazione per le canzoni degli altri e applaudire, ma applaudire sul serio, gli altri partecipanti. Mi è venuto spontaneo dire: “Allora davvero la musica annulla qualunque barriera”. Alla fine, tutto ripaga. Il nostro lavoro è piaciuto ed è stato selezionato per essere inviato ad alcune delle Label impegnate nel progetto. Mica male per 4 sconosciuti, eh? Aldilà di ciò, siamo stati un team sul serio, a livello professionale e umano. Cosa ho imparato? A collaborare, ad ascoltare, ad analizzare le situazioni, ad usare un diavolo di software senza imprecare ogni 2×3…Ma soprattutto, a lasciarmi alle spalle qualunque pregiudizio, anche il minimo, e ad aprirmi a qualunque esperienza. Se non lo fanno i musicisti, allora chi deve farlo? Raccomanderei questa esperienza? Sì. Nel bene e nel male, sì. Mille volte sì. Apritevi alle occasioni che vi offre la vita, anche a quelle che vi sembrano più strane, chissà che non vi possano sorprendere. E lo dico io che pensavo di essere il pesce fuor d’acqua della situazione.
L’organizzazione è stata impeccabile: il trasporto in/dalla città, l’accoglienza in ostello, gli spazi e la strumentazione a disposizione dentro e fuori il conservatorio.
Passare la prima sera con ragazzi da tutti gli angoli del mondo e confrontarsi su passioni, differenze culturali e metodi di lavoro, in un accogliente barbecue di benvenuto, è stato solo l’inizio di quella che sarebbe stata una delle esperienze più belle della mia vita.
Ho imparato l’importanza di fare squadra, lavorare con scadenze brevi, scegliere quando fare da traino e quando lasciarsi guidare da qualcun altro.
Un’esperienza fatta per chi ama respirare musica tutto il giorno, pedalare di notte in una cittadina magica e sconosciuta, ma soprattutto mettersi alla prova con il mainstream pop di oggi.
Penso di essere stata molto fortunata, non è semplice ritrovarsi a lavorare e mettere in gioco tutta te stessa assieme a persone che non hai mai visto in vita tua, e sono riuscita a farlo perché ho avuto dei compagni di viaggio da far invidia. Sin da subito, tutto il Team dell’organizzazione si è messo a disposizione e ci sono stati quanto più vicini possibile, in primis Natasha, responsabile dell’organizzazione. Ci hanno fatto sentire a casa, mettendoci a disposizione l’intera struttura, le aule, gli strumenti, un mezzo di trasporto e gli stessi allievi, che sono state le nostre guide in parecchie occasioni. Come ho già detto, sono stata tanto fortunata, anche per quanto riguarda le persone con cui ho lavorato: pur essendo un po’ fuori dal mio mondo (premetto che appartengo ad un ambito più jazzistico che puramente pop), ho fatto del mio meglio per collaborare con i miei compagni (cercando di dare il mio contributo nella scrittura più che nella produzione), che mi hanno guidata pian piano, aiutandomi a capire le scelte che si prendevano. Inoltre, siamo stati in grado di centrare uno dei punti fondamentali del Camp, ovvero imparare a collaborare: ascoltarsi, mettere in gioco tutta la propria conoscenza e soprattutto essere in grado di prendere le proprie decisioni insieme, al fine di poter riuscire al meglio nel proprio lavoro. Noi siamo stati in grado di farlo, e, difficile a credersi, 3 giorni sono stati abbastanza per mettere a nudo i caratteri di ognuno. Ho scoperto delle persone fantastiche, dei musicisti straordinari, con i quali ho riso e pianto fino a scoppiare. Shivan, Lisa e Carolina sono musicisti con i quale augurerei a tutti di lavorare, in grado di spronarti a dare il meglio di te, senza farti rinunciare al gusto di un sorriso. Ti ritrovi, poi, ad
interagire con persone che provengono da ogni angolo del pianeta, e ti ritrovi a ridere con loro, a condividere progetti, storie, e ti ritrovi a scoprire che, alla fine della fiera, non siamo poi così diversi. Magari gli ambienti cambiano, i Paesi di provenienza, ma siamo tutti accomunati dallo stesso amore per la propria arte, e questo unisce più di quanto una lingua faccia. La cosa più bella, poi, l’ultimo giorno alla presentazione dei progetti al teatro, è stato rendersi conto che, nonostante fossimo stremati dal duro lavoro e dall’ansia di far ascoltare i nostri progetti, quel filo di competizione che vi era all’inizio è andata completamente a scemare: ho visto persone muovere la testa a tempo, lanciare urla d’approvazione per le canzoni degli altri e applaudire, ma applaudire sul serio, gli altri partecipanti. Mi è venuto spontaneo dire: “Allora davvero la musica annulla qualunque barriera”. Alla fine, tutto ripaga. Il nostro lavoro è piaciuto ed è stato selezionato per essere inviato ad alcune delle Label impegnate nel progetto. Mica male per 4 sconosciuti, eh? Aldilà di ciò, siamo stati un team sul serio, a livello professionale e umano. Cosa ho imparato? A collaborare, ad ascoltare, ad analizzare le situazioni, ad usare un diavolo di software senza imprecare ogni 2×3…Ma soprattutto, a lasciarmi alle spalle qualunque pregiudizio, anche il minimo, e ad aprirmi a qualunque esperienza. Se non lo fanno i musicisti, allora chi deve farlo? Raccomanderei questa esperienza? Sì. Nel bene e nel male, sì. Mille volte sì. Apritevi alle occasioni che vi offre la vita, anche a quelle che vi sembrano più strane, chissà che non vi possano sorprendere. E lo dico io che pensavo di essere il pesce fuor d’acqua della situazione.
L’organizzazione è stata impeccabile: il trasporto in/dalla città, l’accoglienza in ostello, gli spazi e la strumentazione a disposizione dentro e fuori il conservatorio.
Passare la prima sera con ragazzi da tutti gli angoli del mondo e confrontarsi su passioni, differenze culturali e metodi di lavoro, in un accogliente barbecue di benvenuto, è stato solo l’inizio di quella che sarebbe stata una delle esperienze più belle della mia vita.
Ho imparato l’importanza di fare squadra, lavorare con scadenze brevi, scegliere quando fare da traino e quando lasciarsi guidare da qualcun altro.
Un’esperienza fatta per chi ama respirare musica tutto il giorno, pedalare di notte in una cittadina magica e sconosciuta, ma soprattutto mettersi alla prova con il mainstream pop di oggi.
Penso di essere stata molto fortunata, non è semplice ritrovarsi a lavorare e mettere in gioco tutta te stessa assieme a persone che non hai mai visto in vita tua, e sono riuscita a farlo perché ho avuto dei compagni di viaggio da far invidia. Sin da subito, tutto il Team dell’organizzazione si è messo a disposizione e ci sono stati quanto più vicini possibile, in primis Natasha, responsabile dell’organizzazione. Ci hanno fatto sentire a casa, mettendoci a disposizione l’intera struttura, le aule, gli strumenti, un mezzo di trasporto e gli stessi allievi, che sono state le nostre guide in parecchie occasioni. Come ho già detto, sono stata tanto fortunata, anche per quanto riguarda le persone con cui ho lavorato: pur essendo un po’ fuori dal mio mondo (premetto che appartengo ad un ambito più jazzistico che puramente pop), ho fatto del mio meglio per collaborare con i miei compagni (cercando di dare il mio contributo nella scrittura più che nella produzione), che mi hanno guidata pian piano, aiutandomi a capire le scelte che si prendevano. Inoltre, siamo stati in grado di centrare uno dei punti fondamentali del Camp, ovvero imparare a collaborare: ascoltarsi, mettere in gioco tutta la propria conoscenza e soprattutto essere in grado di prendere le proprie decisioni insieme, al fine di poter riuscire al meglio nel proprio lavoro. Noi siamo stati in grado di farlo, e, difficile a credersi, 3 giorni sono stati abbastanza per mettere a nudo i caratteri di ognuno. Ho scoperto delle persone fantastiche, dei musicisti straordinari, con i quali ho riso e pianto fino a scoppiare. Shivan, Lisa e Carolina sono musicisti con i quale augurerei a tutti di lavorare, in grado di spronarti a dare il meglio di te, senza farti rinunciare al gusto di un sorriso. Ti ritrovi, poi, ad
interagire con persone che provengono da ogni angolo del pianeta, e ti ritrovi a ridere con loro, a condividere progetti, storie, e ti ritrovi a scoprire che, alla fine della fiera, non siamo poi così diversi. Magari gli ambienti cambiano, i Paesi di provenienza, ma siamo tutti accomunati dallo stesso amore per la propria arte, e questo unisce più di quanto una lingua faccia. La cosa più bella, poi, l’ultimo giorno alla presentazione dei progetti al teatro, è stato rendersi conto che, nonostante fossimo stremati dal duro lavoro e dall’ansia di far ascoltare i nostri progetti, quel filo di competizione che vi era all’inizio è andata completamente a scemare: ho visto persone muovere la testa a tempo, lanciare urla d’approvazione per le canzoni degli altri e applaudire, ma applaudire sul serio, gli altri partecipanti. Mi è venuto spontaneo dire: “Allora davvero la musica annulla qualunque barriera”. Alla fine, tutto ripaga. Il nostro lavoro è piaciuto ed è stato selezionato per essere inviato ad alcune delle Label impegnate nel progetto. Mica male per 4 sconosciuti, eh? Aldilà di ciò, siamo stati un team sul serio, a livello professionale e umano. Cosa ho imparato? A collaborare, ad ascoltare, ad analizzare le situazioni, ad usare un diavolo di software senza imprecare ogni 2×3…Ma soprattutto, a lasciarmi alle spalle qualunque pregiudizio, anche il minimo, e ad aprirmi a qualunque esperienza. Se non lo fanno i musicisti, allora chi deve farlo? Raccomanderei questa esperienza? Sì. Nel bene e nel male, sì. Mille volte sì. Apritevi alle occasioni che vi offre la vita, anche a quelle che vi sembrano più strane, chissà che non vi possano sorprendere. E lo dico io che pensavo di essere il pesce fuor d’acqua della situazione.