il messaggero

Quante “Improvvisazioni” che diventano letteratura

LA RECENSIONE
Il vertice della mia carriera musicale l’ho raggiunto nel 2008, accompagnando con il bongo ‘Jon Faddis al Festival jazz di Villa Celimontana nell’esecuzione di Night in Tunisia in un vertiginoso tempo di 6/8 (documentato su YouTube)».
Una dolce confessione con una comprensibile sferzata d’ego, apre Improvvvisazioni. Voci per un dizionario di jazz e letteratura (pp.125 €18), il bel saggio firmato dal giornalista e critico letterario, Filippo La Porta, pubblicato da SaintLouis Doc.

IL PROGETTO
Complice l’intesa con il musicista Marcello Rosa, l’autore ha dato vita ad un progetto intitolato prima Jazztales, poi Dizionrio di jazz e letteratura, tessendo una vivace trama fra jazz e letteratura, scandendo alcuni fondamentali lemmi del nostro tempo, da ambiguità ad universalità, suggellando il jazz come «un esempio di globalizzazione buona, virtuosa», per un genere che ambisce all’universalità, chiedendo «al proprio pubblico un minimo di cooperazione, una attenzione supplementare» per essere pienamente compreso e apprezzato.
Con questo saggio, La Porta suggerisce analogie e punti di contatto tra jazz e letteratura del ‘900, passando dal Potato Head Blues di Armstrong a Ornithology di Charlie Parker, chiamando in causa Jack Kerouac e Céline, scrittori iconici da un punto di vista jazzistico, poiché talentuosi e liberi, «disadattati e nomadi».

IL MANIFESTO
Quante “Improvvisazioni” che diventano letteratura
Saggista e critico — ricordiamo Pasolini e Sciascia. Ultimi eretici (Marsilio, 2021), Roma è una bugia (Laterza, 2014), Indaffarati (Bompian i, 2016)- La Porta evoca Jean-Claude Izzo (che nella trilogia marsigliese dissemina tracce jazz anche molto ricercate) e Pier Paolo Pasolini che, in queste pagine dense di suggestioni, vediamo “dialogare” fra note e parole con Jelly Roll Morton, Duke Ellington, Miles Davis e John Coltrane. Impreziosito da tre conversazioni con Marcello Rosa, Federica Michisanti e Stefano Di Battista, il volume si conclude con un elegante Manifesto portatile del jazz, definito come un genere «attualissirno ma anche refrattario al nostro tempo», «fondato sull’improvvisazione e continua variazione, sull’imprevisto».
Molti «romanzi italiani di oggi appaiono cosi ‘omologati e prefabbricati», scrive La Porta, ecco perché abbiamo bisogno del jazz, «il genere musicale più sovversivo del Novecento» e anticonformista, capace di creare l’atmosfera noir alla Chandler, trasmettendoci quella sensazione di pericolo cui accenna il cileno Roberto Bolalio, quel «correre sull’orlo di un precipizio», scrivendo come se ne andasse della nostra stessa vita.

Francesco Musolino